Dove si assopisce il tacco del Tisiddu, un monte di confine tra il finito e l’immenso che ricorda le Dolomiti, un tempo c’era una stazione ferroviaria: un luogo di partenze e di arrivi, di incontri e di scambi, di merci e di uomini. Quei paradisi perduti che la realtà raggiungeva sui binari oggi sono diventati carrozze che la fantasia caricò come in un sogno sulle spalle di una donna minuta, tenera come un folletto: Maria Lai. E infatti da qualche anno quel luogo racchiude le opere di questa artista che è diventata uno degli emblemi della Sardegna al mondo. 

Ulassai si trova nel cuore selvaggio della Sardegna, circondato dai massicci rocciosi dell’Ogliastra che si stagliano a settecento metri sul livello del mare.

Il piccolo paese ha dato i natali nel 1919 a Maria Lai, ed è anche il luogo dove è tornata a vivere negli ultimi anni della sua vita. Oggi è un museo a cielo aperto, un grande telaio, dove le opere dell’artista sarda raccontano dei miti, delle leggende locali e non solo. Nel percorso attraverso il paese si trova “La strada del rito”, un rilievo di 7 km in cui a fare da tela sono i muri di contenimento per evitare le frane, sopra i quali l’artista ha sviluppato il tema sacro della moltiplicazione dei pani e dei pesci. L’opera rappresenta il lungo rito della via percorsa dai pellegrini durante la festa di Santa Barbara. Il monumento dal titolo “Fiabe intrecciate”,  realizzato nel 2007, in occasione del settantesimo anno dalla nascita di Antonio Gramsci, personalità a cui l’artista si sentiva intellettualmente legata. Un’altra opera è “L’arte ci prende per mano” che invece verte sul tema della crescita del bambino e lancia un invito al viaggio nel mondo dell’arte attraverso le fiabe, le leggende, le feste e i canti. E “Il pastorello mattiniero” che vede la raffigurazione in bianco e nero dei personaggi tratti dal racconto “La capretta” di Salvatore Cambosu, professore al quale Maria Lai era profondamente legata.

Ma molte delle opere di Maria Lai si trovano all’interno delle mura della Stazione dell’Arte che risponde agli ideali dell’artista perseguiti nel corso del suo flusso creativo, quello di avvicinare le persone all’arte. Il museo è stato inaugurato nel 2006 dopo la donazione da parte dell’artista di un corpus di oltre centoquaranta opere, tra le più importanti e significative del suo percorso e che hanno segnato l’arte contemporanea del Novecento. Qui si cerca di mantenere viva la vocazione che Ulassai cerca di perseguire da oltre vent’anni attraverso l’arte di Maria Lai e che ha visto come spartiacque l’intervento “Legarsi alla montagna” del 1981. Per questo intervento Maria Lai si è ispirata ad un’antica leggenda locale “Sa Rutta de is’antigus”, cioè “La grotta degli antichi”. L’opera ha visto porte, vie e case del paese legate alle montagne circostanti con un nastro celeste di 27 chilometri. L’installazione aveva coinvolto donne, bambini, pastori, anziani sia per la definizione che per la realizzazione, diventando la prima opera di Arte Relazionale.

Oggi alla Stazione dell’Arte si trova una nuova mostra, “L’altra faccia della luna”, la prima retrospettiva dopo la scomparsa di Mirella Bentivoglio – cara amica di Maria Lai – avvenuta nel 2017 all’età di 94 anni. L’esposizione, curata da Davide Mariani e da Paolo Cortese, mette in luce con oltre cinquanta opere – tra foto, video e bozzetti –  realizzate negli anni Sessanta e Settanta la complessità e la profondità della sua poetica favorendo la riflessione su argomenti ancora oggi molto attuali quali il consumismo e le questioni di genere.  “Indubbiamente l’esperienza più eclatante e nota dell’attività curatoriale di Bentivoglio, che ha letteralmente fatto la storia della poesia visiva in generale e di quella al femminile in particolare, è la mostra “Materializzazione del linguaggio”, tenutasi a Venezia nel 1978, in occasione della Biennale d’arte, in cui sono state riunite ottanta artiste impegnate a dare forma alle espressioni tra “Linguaggio e immagine” e tra “linguaggio e oggetto”, ha dichiarato Paolo Cortese. Tra le artiste in questione si trovava anche Maria Lai che vi ha preso parte con suoi primi libri cuciti e con un’opera realizzata a quattro mani assieme alla stessa Bentivoglio, il “Libro-Alfa”, un elenco telefonico con la copertina di pane. 

“È proprio da quell’esperienza che trae ispirazione “L’altra faccia della luna” – ha concluso Davide Mariani – “il cui titolo è preso in prestito da un libro d’artista realizzato da Bentivoglio nel 2013 per edizioni Eos, all’interno del quale da una parte trasferisce l’immagine della superficie lunare su quella della Terra e dall’altra riporta una poesia inedita del 1978. I versi raccontano di un satellite donna-luna, descritto inizialmente come un corpo che ubbidientemente gira intorno al pianeta prima di annunciare, con toni di ribellione, un profetico “Stiamo felicemente nascendo”. La mostra è aperta fino al 5 dicembre 2021.

(Silvia Cristofalo)

Foto di: E. Loi, S. Melis, Arasolè

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